“Holy Land” (2022) by chiaraplacidi
For the “Jewish Fantasy Worldwide anthology” (forthcoming), edited by Valerie Estelle Frankel, I analysed Jewish elements in 21st century Alfredian fanfiction. One of my case studies is “Holy Land” (2022) by chiaraplacidi. With permission of the author, I republish it here.
In un tempo di florida pace, io, Alfred, Re di Wessex, mi approssimo alle coste della Terra Santa. Mesi di viaggio hanno fiaccato il mio corpo ma non il mio spirito, e dopo notti di preghiera sono finalmente pronto al compito che l’unico Dio mi ha affidato, la ricerca di una moglie che sia per me una corona, una vite ricca di frutti, un fiero albero d’olivo, portatore di pace. Sono approdato su molte coste, prima di trovarmi qui: per la mia regina ho attraversato la terra dei Franchi, dalla quale ho rubato i più brillanti menestrelli, sono sceso attraverso i ducati dell’Imperatore d’Italia, Ludovico II, portando con me minuziosi gioielli, spezie e vesti provenienti dai mercati di Venezia e delle altre città della costa, e ho chiesto la benedizione di Papa Adriano II, per il giusto compimento di questo viaggio, come legittimo Re degli Anglosassoni quale il Signore, per mano sua, mi ha incoronato. Questa è in realtà l’unica cosa di cui un uomo ha bisogno quando compie l’Opera di Dio, la Sua benedizione per le mani del Santo Pontefice, Successore di Pietro. Questa nave carica di doni non è altro che un mero pegno, in confronto al dovere che mi porta qui, e al Signore che mi manda.
Mi porta qui la possibilità di trovare nella regina Esther una degna consorte: di costei mi sono state dette molte cose, e nessuna di queste ombra la sua reputazione. È una giovane vedova, senza figli, devota al marito e alla Legge di Dio, e sono certo di trovare in lei una mente docile ai desideri del Signore, e spero dunque di poterle facilmente mostrare qual è la vera via per la Redenzione, la fede nel Signore nostro Gesù Cristo, morto sulla Croce e resuscitato per la nostra salvezza. Come giudea, è una straniera nella sua terra: il suo potere di Regina non è che un mero nominativo, ne ci sono padri a cui rivolgersi per chiedere la sua mano, porta in dote solo la santità della sua anima. Quale miglior sposa, per un Re degli Anglosassoni, che una donna proveniente dalla Terra Santa, erede diretta del popolo ebreo che ha partorito il Cristo?
Le coste della Terra Santa sono battute dal vento, e un sottile velo di terra rossastra si solleva per coprire ogni cosa, dalle case dei pescatori alle navi, fino a investire i volti degli uomini presenti. Anche il re sembra più bruno del solito, gli occhi semichiusi forse per il vento, forse per la determinazione che lo guida in questi luoghi. La notte culla pensieri assonnati, e l’ambasciata di servi che lo attende a terra si è già presa carico dei suoi bagagli, compresi i doni per la Regina – sono dunque pochi, appena un manipolo. Le guardie che lo hanno accompagnato fanno formazione attorno a lui, come le ali di un maestoso albatro attorno al corpo possente, eccetto il fatto che Re Alfred è tutt’altro che possente. È un uomo minuto e minato, non solo da una genetica poco generosa ma anche da un morbo sconosciuto che gli morde le interiora. Ad uno sguardo poco attento, molti potrebbero pensare che si tratti di un re di facciata, specie in tempi duri come questi: le ossa sporgono persino dalla morbida veste di velluto rosso che lo avvolge, e certo non sembra un valoroso condottiero alla guida dei suoi uomini, gli manca la muscolatura e la verve; ma è in quello sguardo deciso e nella mano stretta a pugno sul ventre che l’uomo mostra estremo governo di se e una fierezza imbattuta. Molti dicono che quello sguardo di fuoco provenga direttamente dalla sua fede in Dio, ma anche il più pagano tra gli infedeli non potrebbe essere cieco al furore che guida ogni decisione in favore del suo sogno di Inghilterra.
Passa tra i giardini vuoti della residenza della Dama come un fantasma, seguito in silenzio dai suoi fedelissimi, guardando con occhio attento le ombre che si muovono dietro le finestre forate. Lo circondano i fruscii dei tessuti e delle sete, e i mormorii di serve e dame di compagnia. Sente il peso dei loro sguardi addosso, ma ce n’è uno che sa che manca. Si ferma sulla soglia prima di accedere alle sue stanze, fermando il primo tra coloro che lo seguono. <Vi auguro una buona notte signori. Vi prego di approfittare dell’ospitalità di questa terra e riposare, sarà sicuramente una notte senza intoppi e domani ci attendono grandi cose> Sembra un normale augurio, ma è più un invito a non accedere alle sue stanze nella notte. Cosa c’è dietro quello sguardo misterioso, gettato verso le sue stanze?
<Sire, mi segua> un servo dalla pelle bruna e gli occhi neri lo guida fino al cubicolo con una candela di sego, che goccia dopo goccia produce una traccia fino al capezzale del suo letto. <Sei congedato> replica il Re, chiudendosi la porta alle spalle: si accorge, senza troppa sorpresa, che non vi sono serramenti perché la porta rimanga chiusa.
Prima la casacca, poi le scarpe, i calzoni e la corona, posata ordinatamente sulla toeletta della stanza, si sveste e deterge delicatamente la pelle dalla sporcizia del lungo viaggio in mare, l’acqua si fa bruna e densa e dopo poco smette di riflettere il suo viso. Rimasto solo in modesta tunica bianca, si inchina all’inginocchiatoio che la Regina gli ha gentilmente fornito, davanti all’immagine di un Cristo dalla foggia orientaleggiante: grande sguardo vacuo, privo di espressione, oro profuso attorno alla croce e l’assenza di dolore sono una vista peculiare per lui, ma questo non gli impedisce di entrare in preghiera, dando le spalle alla porta. Solo una piccola candela di sego, quella del servo, gli fa compagnia: quando si sarà sciolta nel suo piattino, Alfred saprà che è giunto il momento del riposo.
Una folata improvvisa di vento la spegne, il cubicolo cade nel buio, il re sente come un sussurro gelido alle spalle e di scatto si gira, allungando la mano alla spada e puntandola verso l’angolo buio aldilà della porta, mezzo chino ancora sull’inginocchiatoio al quale è appoggiato, mezzo rivolto verso il misterioso aggressore. Il cuore gli pompa nelle orecchie, nel momento in cui, in un singolo mormorio, Alfred recita: <Mostrati> con il tono imperativo che è abituato ad usare fin dalla tenera età.
Uno spettro pallido si fa strada dalla porta. La veste bianca lo acceca quasi, copre la misteriosa figura dal collo fino ai piedi. Nell’oscurità, i lineamenti della donna misteriosa si confondono: pelle dorata, brillanti occhi neri, ricci scuri che ricadono lucidi sulle spalle. <Chi siete?> Alfred non le da le spalle mentre si rialza, perplesso, ne abbassa la spada con la quale la tiene a distanza.
<Sono Esther, mio signore> Il Re è perplesso. Questa donna, priva di gioielli e fragranze preziose, senza abiti sfarzosi indosso, è la Regina che è venuto a sposare? Costei, così coraggiosa da sfidare la lama della sua spada in piena notte, è la donna che si è interessata a lui?
<Sapevate che avrei potuto uccidervi con un colpo di spada, se fossi stato meno paziente?> severo, il Re la studia con più attenzione, ora che la luce della luna ha illuminato eterea la figura che ora si trova davanti a lui, ai piedi del letto.
<Se devo morire, così sia> replica l’altra con un filo di voce, facendo un ultimo passo verso di lui, la punta della spada che preme al centro del morbido petto di lei. Gli ricorda inconsciamente le immagini di martiri che tante volte ha visto ritratte negli affreschi e nei libri miniati, avvolti dalle fiamme o trafitti dalle frecce, con le braccia aperte come sulla Croce; assume ai suoi occhi quasi un’aura di santità. Lo sguardo è fiero, diretto come il suo, ma con una punta di disperazione in più: il Re sa che Esther non è venuta nelle sue stanze per amore. È una donna, senza potere, denaro o marito in una terra usurpata da infedeli, con solo un titolo a proteggerne l’onore; se l’ha cercato è perché ha visto valore nella sua corona, non in lui. D’altronde lui non è qui perché la ama, ma perché il dovere per il suo popolo lo guida. A volte però, la tentazione della carne lo vince: fa scendere lo sguardo lungo il corpo sinuoso di lei, e con esso cala anche la spada, che lui ripone a fianco del letto. Ne studia le forme morbide sui seni e sui fianchi, la gioventù sulla pelle liscia del suo collo – non può avere più di vent’anni – il modo in cui i ricci bruni coprono la curva delle sue spalle, e un tizzone ardente nel suo petto ricomincia a bruciare. Siede pesantemente sul letto, solo le candide tuniche a coprire le vergogne di entrambi, china il capo, poi lo solleva e la guarda, intensamente. <Venite> dice in un sospiro, la bocca secca.
Lei avanza, siede a cosce aperte sulle sue gambe, solleva con dita delicate la sua tunica fino a quando questa non ricade in mezzo alle lenzuola. Accarezza il corpo magro di lui, il Re percepisce il suo invito e stringe le mani sulle natiche sode di lei, affondando sotto il lino fresco. Quando le dita affusolate della Regina si stringono sulle sue spalle, è una danza di lingua contro lingua quella che si anima tra loro. Con un tonfo leggero, la schiena di Alfred cade sul materasso di giunchiglie, accogliendo la donna sopra di se, mentre questa scivola ad avvolgerlo fino al punto in cui il Re chiude gli occhi e un’ondata di piacere lo avvolge.
Le luci dell’alba colpiscono il corpo nudo del Re sul letto ancora scomposto. Sente il sudore colargli addosso lungo la schiena, facendolo rabbrividire, e un’insolita mancanza al suo fianco, un calore che non c’è. Apre gli occhi, accecato dalla luce si gira dall’altra parte e la vede. Alla luce del sole è ancora più bella, e le gocce d’acqua sulla sua pelle sembrano perle, riflettono come gioielli su quella pelle di bronzo. Non si copre ne si vergogna, si solleva solo a sedere e la guarda in silenzio, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. È costruita come solo uno scultore degno di questo nome potrebbe fare, sembra una statua greca ma di carne morbida, fatta di fianchi in cui affondare le dita e seni piccoli e delicati, quasi bianchi rispetto al resto del corpo. Alfred la ammira, un’opera d’arte solo per lui, e lo fa in silenzio anche quando lei si gira e il suo sguardo su di lui è morbido come quello di una donna che ha passato una notte in intimità con il suo uomo. L’acqua le scivola addosso, lavandola dai ricordi della notte, dai segni che nella foga lui le ha lasciato sulla pelle, dall’ombra dei baci che si sono donati nel buio delle cortine tirate, lontani dagli sguardi di serve e soldati anche se solo per una notte. L’uomo è quasi tentato di allungare una mano e sfiorarla, ma è una visione mattutina che è tanto più gradevole quanto più rimane lontana dalla prosaicità di un contatto che renderebbe tutto molto più reale, renderebbe imperfetta la distesa bronzea della pelle di lei, renderebbe forse più opaco il colore dei suoi capelli o meno dritte le perle dei suoi denti. Preferisce continuare ad ammirarla così, senza l’ombra della realtà che li minacci ancora, senza l’intensità atroce dei sentimenti da cui dovrebbero essere sopraffatti. La osserva mentre emerge dalla tinozza, avvolgendosi intorno il lino fresco che una serva avrà portato mentre lui ancora dormiva beato, e il non vedere più quelle curve che le sue mani conoscono bene manda una fitta di attrazione, giù dal basso ventre fino alla resistenza che la sua mente oppone, quasi come se il non vederla in qualche modo la rendesse di nuovo misteriosa, pronta ad essere scoperta ancora. Si congedano nello stesso silenzio, con un delicato aroma di oli profumati che aleggia per la stanza e un’ombra in tunica bianca che esce dalla porta come vi era entrata.
Alfred si veste degli abiti più ricchi che ha portato, di vesti tessute finemente e con la corona di cui è stato investito, e dalla finestra fa segno alla sua compagine di portare nelle sale i suoi doni per la Regina. Prende un ultimo respiro e si fa strada fino alle sale dove lei lo attende, conscio che adesso gli sguardi di tutti saranno puntati su di loro, che in questo momento sono uno spettacolo per i pettegoli.
Racconteranno i bardi quando la loro nave sarà salpata, dello sguardo d’amore che la donna gli rivolse non appena prese posto al tavolo della colazione, dove lo attendeva cacciagione e pane. Canteranno per secoli, della scintilla che brillava tra loro in quel primo incontro che tanto primo non era, mentre con la dolcezza di un fedele amante il Re allungava una mano verso quella morbida e curata di lei, afferrandola con delicatezza inaspettata per un uomo abituato ad impugnare con determinazione sia la penna che la spada.
<Mia Regina> le disse, mentre lei si alzava in piedi davanti a tutta la sua piccola corte di servi e soldati. <Chiedo, con la Benedizione del Signore, che voi possiate essere il mio ezer, la mia sposa> chinò il capo, sentendo le dita di lei fremere nella sua mano come uccellini al sorgere del giorno. <possa amarti interiormente prima di ogni cosa con pensiero puro e corpo puro> Sente i sospiri di lei farsi più intensi, profondi, come se l’emozione la stesse assalendo, ma quando solleva il viso per guardarne la reazione la trova girata, con gli occhi neri, vivi e profondi, pieni di lacrime. Ligio, granitico, Alfred aveva atteso che quello sguardo si posasse di nuovo su di lui come una benedizione. Le lacrime sulle sue guance brillavano come diamanti, la rendevano forse più bella. Sembrava stesse cercando di sillabare qualcosa, boccheggiò un paio di volte, poi allungò una mano a mezz’aria tra loro, senza osare avvicinarsi di più davanti a tutto quel pubblico.
<Ho sperato…> mormorò, ingoiando le lacrime di cui poteva quasi sentire il sale sulle labbra. <Ho sperato che sareste venuto, mio Re, perché era stato annunciato> piegò le dita come se lo stesse accarezzando, affondando le dita nei morbidi capelli scuri. <”E non appena l’abbiamo sentito, i nostri cuori si sono sciolti, e non c’era più spirito in nessun uomo a causa sua”> recitò mentre un sorriso le piegava le labbra. Tutt’attorno a loro vi era il caos, i soldati che schiamazzavano come dopo una vittoria, le servette che bisbigliavano mentre servivano il vino e le dame che commentavano allegramente con i soldati, come se nessuno sapesse che quel momento non era altro che il frutto del dovere di entrambi, uno verso il proprio paese, l’altra verso la propria gente. Eppure, quella scintilla qualcuno giura ancora di averla vista, nascosta in mezzo alla silenziosa risposta di lui.
<Che il Signore mi renda uno sposo degno di voi, mia Regina, e che insieme ci renda degni del regno che ci ha affidato> Silenzioso accordo o sguardo d’amore? Impossibile dirlo.
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